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È finita. Mi sembra ieri. Questa volta senza che i frastuoni siano artificiali, senza alcuna Rimini, ma con l’anima, ricordo, emozione che mi ha fatto diventare grande con lei. Trieste. Avevo 17 anni. Ora 24. Questa Juventus alla matura età mi ci ha condotto: prima quella formale, poi la vera. Mi ha insegnato a stringere i pugni, alzarli al cielo, metterli in tasca, soffrire, concentrare, ripartire, ottenere, specchiarmi, confrontarmi. Non so dove, quando, come si interromperà. Ma so da dove ha incominciato a camminare, poi correre. Da qui. Lei per me, io con lei. Me la porterò nel cuore. Conservando gli occhi lucidi per quel bambino che un domani spero la ami tanto quanto la amo io. Piango.Tantissimo. Grazie, ragazzi. 
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Baciato da Dio.  A volte pensiamo che i doni debbano arrivare da soli, quasi come per le feste comandate. A volte, invece, che non esistano per nulla delle feste, ma solo dei comandi: lavoro, dovere, lavoro.  A volte, raramente, queste due carreggiate di vita si incontrano. Addirittura si incrociano.  Esistono essere umani ai quali va bene la semplice benedizione di una mano benevola, ed altri che al contrario si spaccano in quattro per andarla a prendere direttamente al massimo altare quella benedizione.  Che Dio vogliono baciarlo in bocca.  Tre metri sopra il cielo.  Tre metri sopra, CR7. 
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Almeno sei anni. Almeno. Due Europei con in mezzo, si spera, anche un benedetto Mondiale. Non un progetto, ma una vera e propria chirurgia della nuova postura del nostro calcio.  Uso il ‘nostro’, altrimenti non se ne esce: deve essere di tutti, da tutti, per tutti. Da chi scrive, a chi ne parla, a chi allena.  Le ‘Grandi’ diano le loro mandate, le piccole sostengano ma senza imbrigliare i nastri. C’è molto da riavvolgere. Tutto.  Serie A a 18 squadre. Rose da ventitre, con una cifra minima di cinque prodotti del vivaio; deve interessarcene la testa, non il colore della pelle o la desinenza nel cognome. Che amino la Nazionale, la rispettino, la vogliano.  La materia prima attuale non va ignorata, sia mai vederla come un usato già sbiadito. E fondamentale crearvi un canale di trasmissione da non saturare con ciò che non sia l'insegnamento o l'esempio.  Per questo parlavo di chirurgia, per questo ho messo le lancette parecchio in là col tempo.
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Anche a me sarebbe piaciuto.  Che quella Juventus durasse in eterno. Prima, nuova, unica. Di leader silenziosi, elementi affamati, veterani in cerca di riscatto. Appartenente a se stessa.  Come il calcio che ci piace, ma che spesso ci tradisce. Nostro ma anche un po' di altri; da condividere, come i rapporti umani che fanno da ago a quella sensibile ed eterea bilancia che pesa sempre ventuno grammi di noi.  Robe strane, le anime. Come l'accostamento della parola lavoro al pallone. Quasi bestemmia. Come passione e sentimento: pura inerzia vitale la prima, delle volte senza testo, eterna riflessione appagante la seconda. Vi resta fondamentale l'equilibrio, cromosoma uno del bene di una squadra. Chi ne sa lo adopera al meglio, perfino togliendosi qualcosa. Perfino privandosi di una parte di sè per bilanciarne un'altra. E il bene credo sia almeno questo, dividersi per restare in piedi, per non crollare tutti d'un colpo. Quello che abbiamo alle
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È venuto a mancare il nostro medico curante. Per i miei era un totem. Li prese adolescenti e loro sono cresciuti con lui. Me lo hanno sempre trasmesso, anche a me, come uno di famiglia.  Gli volevamo bene. Scrissi qua sotto di come da piccolo incontrai Buffon quando non ero che un bambino con gli occhi pieni di lui. Tutto questo non sarebbe mai avvenuto se non per questa persona; era bianconero e, da presidente di club, amava organizzare eventi che ospitassero i campioni anche nella nostra, provinciale, realtà cittadina.   Ho avuto modo anch'io di conoscerlo e di esserne paziente. Sempre cordiale, chiacchiere sulla Juventus, sulla vita. Mi chiamava giornalista come se lo fossi, si ricordava sempre. Trovava l'occasione di tenderti una mano implicita.  Personalmente, di lui ho il ricordo nitido ad una delle mie prime feste scudetto. Ero piccolo, ancora viandante nel tifo. Lo vidi in cima alla scalinata della nostra piazza esultare come un matto, salutandomi v
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La mia prima Finale la vidi a nove anni. Old Traffod, Milan - Juventus.  In tv, eh . Non mi allacciavo ancora le scarpe da solo, non soffrivo ancora le vertigini, ma per imitare Buffon mi spaccavo ginocchia e gomiti la Domenica in campagna. Un anno dopo mi avrebbe firmato la maglia. Ce l’ho ancora. Mio nonno, invece, quel rigore di Sheva me lo rinfaccia. Ancora. Con mio padre ci eravamo promessi che quella dopo l’avremmo comunque rivista assieme, come per dire “eddai, tanto la prossima la vinciamo”. Un cazzo, invece. L’ho capito a ventuno anni che il cielo non è sempre blu sopra Berlino. Per ora, dunque, sono due tendenti al tre. Una la capì poco, l’altra la somatizzai forse troppo, nel prima e nel suo immediato dopo. Che caldo faceva in quel bazar cinese due anni fa? E perché dovevo ancora dare il primo esame? Niente, ho ventitré anni. Quest’anno la vedo da un amico. E la filmo, forse è quello il problema.
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Di sicuro, non smetterai di fumare nemmeno questa volta. Ma sapere di potertelo rimproverare ancora, mi ha fatto volare. Ti voglio bene nonno, solo chi cade può risorgere .